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La scelta dell'intervento terapeutico per l'autismo o altri Disturbi Pervasivi dello Sviluppo: confusioni, differenze e linee guida

Enrico Micheli


Indice

- introduzione
- 1. La prima confusione:le differenze epistemologiche
- 2. Confusioni all'interno del gruppo degli interventi psicoeducativi
- 3. Differenze di "scuola" all'interno degli approcci psicoeducativi
- 4. L'intervento psicoeducativo moderno
- 5. La realtà dell'intervento psicoeducativo oggi in Italia
- 6. Conclusioni
- 7. Bibliografia

 

1. La prima confusione: le differenze epistemologiche

Diversi trattamenti nascono da diversi modi di concepire la conoscenza. L'intreccio controllato tra esperienza clinica e dati della ricerca scientifica, l'accettazione di un sapere condiviso sul problema basato sul rispetto comune del metodo scientifico portano a una conoscenza dell'Autismo che è alla base dei trattamenti di tipo Psicoeducativo. E' utile evitare la confusione tra questo modello e modelli diversi, tradizionali o nuovi, che nascono da un diverso modo di costruire la conoscenza, e che hanno dell'autismo visioni diverse e oggi scarsamente condivise.

E' utile chiarire la possibile confusione anche perché il cambiamento di egemonia, nel campo autismo, da una visione psicodinamica a una visione di psicopatologia dello sviluppo su base organica, comporta oggi la presenza di tentativi di conciliazione, di eclettismo tra diverse epistemologie che aumentano la possibile confusione. Proviamo, un po' artificiosamente, a dividere i trattamenti in tre gruppi:

  1. Il gruppo psicodinamico
  2. Il gruppo psicoeducativo
  3. Il gruppo "new age"

Un intervento psicoeducativo è oggi ritenuto il Trattamento di Elezione dalla maggior parte di esperti del campo, è raccomandato da autorevoli organizzazioni di studiosi e di genitori.(Cohen e Volkmar, 1997) Questo significa che si raccomanda esplicitamente questo tipo di intervento come il più efficace. E' profondamente legato, per la sua natura, alle attuali conoscenze scientifiche sull'autismo. L'autismo è un Disturbo dello Sviluppo, legato a un diverso funzionamento del Sistema nervoso centrale, ha menomazioni sociali, emotive, cognitive; sicuramente provoca emozioni ma non è causato da emozioni, rende difficili le relazioni ma non è causato da relazioni. L'apprendimento di abilità, nella persona colpita e nel suo ambiente, rende migliore la qualità della vita e può, se precoce, compensare le menomazioni e rendere possibili la remissione, la diminuzione, l'attenuazione del disturbo.L' intervento psicoeducativo è legato agli strumenti scientifici della psicologia e della riabilitazione; anche se dà grande importanza alle abilità, all' "arte", di chi insegna e alle emozioni e ai pensieri di chi vive e lavora con questo disturbo; anche se ritiene suo scopo fondamentale il benessere e l'integrazione sociale considera necessario confrontarsi costantemente con il vincolo del comportamento osservabile, unica misura del punto di partenza e del cambiamento. L'enfasi sempre crescente sugli aspetti cognitivo - emotivi sia del disturbo sia della sua riabilitazione non significa l'abbandono del paradigma comportamentale come guida per la conoscenza. Da qui l'uso di strumenti di osservazione, di misura, test, questionari, umili e imperfetti strumenti ma saldamente inseriti in una visione scientifica della conoscenza, con i suoi limiti e la sua grandezza. Gli interventi di questo gruppo sono in continua interazione sia con il mondo "soft" della ricerca psicologica, sia con quello "hard" della ricerca neurologica, biochimica, farmacologica. Dato il comune punto di vista epistemologico, il modello psicoeducativo si può combinare efficacemente con l'uso di farmaci, seguendo attentamente regole e linee guida basate sulle evidenze scientifiche di cui oggi disponiamo, che indicano l'uso di farmaci non per guarire o migliorare l'autismo, ma per diminuire sintomi comportamentali o devastanti o interferenti con l'intervento psicoeducativo stesso.

Certo, questo gruppo di interventi, a causa del modello sottostante di tipo scientifico, entusiasma per i suoi indubbi risultati, permette e stimola continui miglioramenti, ma ha dei punti deboli nella comunicazione con il mondo esterno: è controllato nelle dichiarazioni, non spara successi, vede sempre i limiti piuttosto che i punti di forza, continua a confrontare gli effetti degli interventi, delle diverse componenti di un singolo intervento, scatena una competizione nella ricerca delle prove di efficacia … ogni articolo che presenta una rassegna sull'efficacia degli interventi di questo gruppo, nonostante gli indubbi successi e la presenza di ricerche pubblicate, data la sua epistemologia spesso si conclude con l'affermazione: "risultati incoraggianti, ma ricerca ancora insufficiente".

Il gruppo Psicodinamico, che ha dominato il campo della teoria e della pratica sull'autismo per due decenni (in Italia per almeno quattro), ha invece fatto il suo tempo. Una vera e propria rivoluzione di paradigma ha cambiato negli anni 70 il modo di vedere questo disturbo, lasciando la visione psicodinamica ai paesi dove la psicologia e la psichiatria sono meno legate alla scienza e di più alle lettere e alla filosofia (Italia, Francia, America Latina). Ricordiamo che la visione psicodinamica è in crisi grave da anni non solo per l'autismo, ma per tutti i disturbi psichiatrici; il modello della dinamica intrapsichica come spiegazione dei disturbi mentali, dei disturbi dello sviluppo, dei disturbi comportamentali si è rivelato poco utile e poco euristico, ed è stato soppiantato da altri più aggiornati modelli. In Italia, la presenza di una disciplina, Neuropsichiatria infantile, i cui esponenti storici, possessori di cattedre, sono cresciuti nel clima psicoanalitico, fa si che ancora qualcuno, pur essendo molto diminuita la pratica della psicoterapia di tipo analitico con bambini e ragazzi autistici, continua ad avere questo modello per l'intervento. Il cambiamento non accade per apprendimento di abilità, ma per esperienze emotive che "sbloccano" quelle dinamiche affettive che sole permettono al bambino di accedere alla relazione con l'altro e quindi ad apprendere. Prima si credeva che questa esperienza avesse il suo cardine nel transfert con lo psicoterapeuta, oggi può essere affidata a esperienze ludiche, alla relazione con lo psicomotricista, all'integrazione scolastica, al rapporto cioè con i compagni normali.

Molti operatori dei servizi sanitari pubblici sono cresciuti con questo imprinting, e anche se si aprono ad aspetti del nuovo paradigma, il loro atteggiamento finalizzato allo "sblocco" di competenze presenti ma da "liberare" fa perdere tempo ai bambini e alle famiglie, e rischia spesso di essere all'origine della "perdita del treno" dello sviluppo dell'autonomia, del controllo del comportamento, della comunicazione, treno che invece si riesce spesso a prendere se si insegnano ai bambini le abilità che non hanno in modo razionale, precoce, intensivo.

Il terzo gruppo? Comunicazione Facilitata, Delacato, Auditory Training, Musicoterapia, Delfinoterapia, diete, secretina, ecc. L'ho chiamato "new age", perdonatemi questo termine un po' superficiale per un gruppo molto variegato, perché vi ho immesso interventi che non fanno riferimento a un unico modello teorico. Questo gruppo aumenta la confusione. Guardando superficialmente l'insieme degli interventi che ho qui raccolto potrebbe sembrare un cocktail che mescola gli ingredienti dei due primi gruppi. Fiducia nel fatto che il bambino ha, nascoste, le stesse abilità dei bambini a sviluppo tipico; rifiuto della valutazioni, dei numeri, dei test che potrebbero al contrario valutarne le vere abilità possedute, oltre ai limiti e alle difficoltà; l'attribuzione di effetti taumaturgici a componenti non misurabili né controllabili (nella CF per esempio, la fiducia tra facilitato e facilitatore che permette l'espressione di capacità cognitive ed espressive "nascoste" sotto la crosta dell'handicap); il linguaggio "scientifico", inteso come parlare di biochimica, neurologia, infezioni, vaccini, medicine, senza considerazione per le regole della conoscenza scientifica; come se il parlare di argomenti biologici o chimici fosse di per se qualcosa di scientifico, anche se in realtà si dà fiato a intuizioni, voci, teorie, ecc, che non hanno la benché minima conferma con l' umile ma necessario metodo scientifico. E così compare la "aprassia" della Comunicazione Facilitata, la "lesione" del metodo Delacato, i problemi gastrointestinali della secretina, i problemi uditivi dell'auditory training, tutte cose che potrebbero caratterizzare molti singoli bambini, ma certamente non tutti. Internet e il tam tam tra genitori è il canale di comunicazione preferito da questo filone, è rapido nell'annunciare successi, nella sua comunicazione fa appello a componenti emotive, a speranze, a illusioni, a legittimi desideri di por fine a gravi sofferenze. Gli insuccessi e i limiti sono dovuti a congiure della scienza ufficiale, agli scarsi soldi investiti nella ricerca, al tentativo da parte di non bene identificati baroni di coprire la verità. E di nuovo, come con la psicanalisi, il bambino vero, quello che è indispensabile conoscere e rispettare, viene oscurato da un bambino immaginato, e di nuovo si "perdono i treni".

Credo che sia necessario sostenere la necessità, l'opportunità, l'utilità di una scelta tra questi modelli di fondo e il pericolo e il danno derivato da scelte non chiare o confusioni. Non sempre la necessità di una scelta è chiara; per esempio, molti operatori legati al modello psicodinamico vedono la necessità e l'efficacia di interventi educativi, ma non si decidono a fare una scelta chiara perché, giustamente interessati alla relazione con il bambino e alla sua crescita emotiva oltre che cognitiva o pratica, pensano che l'unico modello che contempli attenzione a queste variabili sia quello psicodinamico. Questo purtroppo è frutto di una scarsa diffusione dell'importanza attribuita alle emozioni, alle relazioni, al benessere personale dal modello di riferimento degli interventi psicoeducativi, e che oggi non c'è più bisogno di psicanalisi per occuparsi di questi aspetti fondamentali.Una volta fatta questa scelta, buona parte della confusione scompare, e ci si può finalmente dedicare a ricavare il massimo possibile, per l'interesse del bambino e dei suoi famigliari, dalle pratiche di intervento coerenti con questa scelta, e a scartare come rumore e confusione inutile e dannosa i continui tentativi di "inquinare" la scelta con proposte che fanno capo a un gruppo che ha modelli di fondo differenti. Il modello psicoeducativo è quello da me scelto. Naturalmente altri potrebbero fare altre scelte; possono buttarsi con fede nel mondo dei segreti e misteri della natura con occhi prescientifici; l'importante è che questa scelta, se fatta, sia fatta da chi è in grado e ha il compito di discriminare, è consapevole di aver fatto una scelta, di averla fatta sulla base di valide informazioni. La confusione viene dalla non chiara discriminazione, e il danno che ne deriva è l'oscillazione tra i due mondi: quello delle conoscenze derivate dall'osservazione e del severo controllo e quello dei "miracoli" delle cure alternative. Il danno si ha quando un intervento che da risultati lenti ma probabilmente destinati a continuare nel tempo viene abbandonato per l'ultima moda di trattamento alternativo, alterando in questo modo il sicuro cammino, che è uno dei requisiti per una efficacia del trattamento con le persone autistiche. Il danno è la sfiducia che ne deriva per ogni intervento. Altro danno della confusione è l'alto prezzo che le illusioni chiedono di pagare, a volte in termini di soldi, ma spesso anche solo in termini di sconvolgimento di un sistema di vita che già è faticoso: pensate alle diete, che in vista di risultati mai sostanzialmente documentati chiedono di contrastare continuamente i desideri alimentari del bambino, sconvolgono le abitudini alimentari di una famiglia e a volte sono dannose in quanto tolgono sostanze nutritive fondamentali.

Rispettando le scelte e le credenze diverse dalle mie, io non posso che dichiarare che il mio sforzo è quello di sostenere la fiducia, la fatica, di persone fortemente provate, aiutarli a tener duro, a continuare, a modificare gli interventi con gradualità e attento studio. In scienza e coscienza, questo è il lavoro da fare, dato che le evidenze scientifiche sostengono questo atteggiamento. E' compito degli psichiatri, degli psicologi, dei clinici, riflettere seriamente su questa scelta, e svolgere in modo più assertivo la loro funzione di guida e informazione per le persone che a loro si rivolgono, senza quei timori che spesso lasciano aperta la porta alla confusione.

 

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